La Chiesa italiana è impegnata nel rammendo nella società italiana, perché essa è e vuole essere segno di unità e di pace del popolo italiano. Il mondo intero ha bisogno di un’Italia in pace, perché siamo tutti interdipendenti. L’Italia dà all’Europa, al Mediterraneo, al mondo un grande contributo di servizio alla pace, di cultura, di lavoro, di sviluppo. Non possiamo mancare alle nostre responsabilità, che hanno reso il nostro Paese conosciuto e simpatico nel mondo intero. C’è un’umanità italiana che non dobbiamo perdere o lasciar stravolgere da odi o razzismi, ma incrementare e trasmettere ai nostri figli.
La parabola dei talenti mostra come due servi abbiano investito il dono ricevuto impiegandolo saggiamente: uno guadagna due talenti e l’altro ne guadagna cinque. Entrambi i servi ricevono il plauso del Signore: “Bene, servo buono e fedele… sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. C’è un servo però che ha avuto paura e ha nascosto il talento sotto terra. Molti di noi, in questo tempo, hanno paura per sé, hanno paura del futuro, hanno paura per il nostro Paese. Così, per paura, cercano di non confondersi, di mettersi al riparo, quasi di sottrarsi al comune destino di essere italiani responsabilmente. Non bisogna aver paura e pensare solo a sé, al proprio interesse, al proprio tornaconto, rinunciando a trafficare i propri talenti per il bene comune del Paese.
Qualche mese fa, papa Francesco, parlando qui a Santa Maria in Trastevere alla Comunità di Sant’Egidio, che oggi ringrazio per questa iniziativa, ha detto:
“L’atmosfera di paura può contagiare anche i cristiani che, come quel servo della parabola, nascondono il dono ricevuto: non lo investono nel futuro, non lo condividono con gli altri, ma lo conservano per sé”.
Sì, anche noi abbiamo rischiato di farci contagiare dal clima di paura e ci siamo chiusi nei nostri ambienti. Abbiamo avuto paura anche della politica, come qualcosa che ci sporcava, dimenticando com’essa è un grande servizio alla comunità nazionale, alla patria, madre nostra e dei nostri figli.
Non bisogna avere paura della politica ed essere assenti! L’ho detto ai cattolici fin dall’inizio del mio mandato, come presidente della CEI, e – dopo l’esperienza di questi mesi – lo ripeto con maggiore convinzione: non abbiamo paura della responsabilità politica. Non lo dico perché favorisca l’uno o l’altro disegno politico. Non è compito dei pastori! Ma credo che i cristiani, in un momento così serio della nostra storia, non possano essere assenti o latitanti, con i loro valori, anzi – come diceva Paolo VI – quali “esperti di umanità”. Sì, non possano disertare quel servizio al bene comune che è fare politica in democrazia. Rischieremmo l’irrilevanza: “Voi siete la luce del mondo… né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa” (Mt 5,14-15). Far luce non è dominare, ma nemmeno nascondersi sotto il moggio.
È venuto il momento, come ho detto recentemente, di avviare nuovi processi, senza preoccuparsi di occupare spazi di potere. Nuovi processi in cui i giovani – soprattutto i giovani – si sentano chiamati ad assumersi nuove responsabilità e ad elaborare nuove “idee ricostruttive” per la democrazia del nostro Paese. Sono convinto che le energie morali di questo Paese sono ancora tante e tantissimi siano i talenti inespressi che necessitano di essere valorizzati.
Preghiamo per l’Italia, perché lo Spirito del Signore soffi nel cuore dei responsabili e degli italiani, affinché s’impegnino per il bene comune, in particolare per le fasce più povere della popolazione, memori che l’Italia – per la sua storia e la sua collocazione geografica in Europa e nel Mediterraneo – ha una particolare vocazione e una sua responsabilità. Possa essere il nostro Paese una vera madre per tutti i suoi cittadini e una presenza di pace e di soccorso nel mondo!